I calendari nella storia

1 Novembre 2008 0 di Elvio

L’anno solare è il periodo di tempo compreso fra due passaggi successivi del Sole all’equinozio di primavera, come tutti sanno ha una durata di 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 45 secondi. L’anno civile di conseguenza, dovrà marciare di pari passo altrimenti si avrebbe uno spostamento delle stagioni nell’arco degli anni a venire.
Il problema si pose fin da subito alle civiltà antiche e molti furono i calendari utilizzati in passato.
Tra i calendari antichi va ricordato quello egiziano (molto somigliante al nostro) in cui la durata dell’anno era di 365 giorni, divisi in 12 mesi di 30 giorni più 5 giorni aggiuntivi.
Ai tempi di Romolo (intorno all’VIII secolo a.C.), l’anno civile sembra che fosse di 304 giorni, divisi in 10 mesi, dei quali 6 di 30 giorni e 4 di 31. I nomi dei mesi erano pressappoco quelli attuali, ma non esistevano gennaio e febbraio e l’anno veniva fatto iniziare a marzo. Un’ipotesi di spiegazione di un calendario di dieci mesi fu data nel 1903 dello studioso Tilak il quale, dimostrò come fosse possibile che gli antichi Romani avessero ereditato quel calendario da una popolazione indoeuropea abitante nelle vicinanze del Polo Nord (quando il clima in quella zona era temperato). I due mesi in meno sarebbero in relazione col periodo, di mancanza quasi totale di luce solare (tipico delle terre vicine al Polo). Quando questo popolo migrò a Sud, per il cambiamento di clima, mutarono il calendario, per adeguarlo alle stagioni del continente europeo, dove anche i mesi più invernali non sono di notte completa.
I mesi di gennaio e febbraio furono aggiunti, secondo la leggenda, da Numa Pompilio (secondo re di Roma), che avrebbe così portato l’anno a 355 giorni (equivalente press’a poco a un periodo di 12 mesi lunari (l’anno lunare è di 354 giorni, 8 ore, 48 minuti e 26 secondi).
Tuttavia la differenza di circa dieci giorni e mezzo fra l’anno solare e quello di Numa Pompilio provocò in breve tempo un notevole scostamento tra l’andamento delle stagioni e l’anno civile, per cui si tentò di rimediare aggiungendo, ogni due anni, un tredicesimo mese che avrebbe dovuto essere, alternativamente, di 22 e di 23 giorni.
Il sistema funzionò poco e male perché sembra che i pontefici (che erano incaricati di applicare le necessarie intercalazioni al momento opportuno), abbreviassero o allungassero l’anno come loro meglio accomodava per scopi politici. Fino a che Giulio Cesare, nel 46 a.C., procedette ad una nuova riforma. Dopo aver assegnato la durata di 445 giorni all’anno 708 di Roma (nel 46 a.C.), stabilì che la durata dell’anno sarebbe stata di 365 giorni, e che ogni quattro anni si sarebbe dovuto intercalare un giorno complementare. L’anno di 366 giorni fu detto bisestile.
Con la riforma di Giulio Cesare l’anno restò diviso in 12 mesi, della durata di 31 e 30 giorni, con l’eccezione di febbraio, che era destinato ad avere 29 giorni oppure 30 (negli anni bisestili come oggi). Inoltre gennaio e febbraio diventarono i primi mesi dell’anno, anziché gli ultimi, com’era stato fino ad allora. Purtroppo, già nel 44 a.C. (dopo soli 100 anni), si iniziò a commettere errori, inserendo un anno bisestile ogni tre anziché ogni quattro anni.
A ciò si pose rimedio nell’8 a.C., quando Augusto ordinò che fossero omessi i successivi tre anni bisestili, rimettendo a posto le cose. Inoltre stabilì che il mese di agosto dovesse avere 31 giorni (togliendo un giorno a febbraio) e fu cambiato il numero dei giorni degli ultimi quattro mesi dell’anno, per evitare che ci fossero tre mesi consecutivi con 31 giorni. In definitiva, da una situazione di mesi alterni di 31 e 30 giorni si passò alla situazione, un po’ più pasticciata (tale che persiste ancora oggi).
Lo scopo di far aderire il calendario civile all’anno solare non era stato ancora raggiunto perfettamente, poiché quest’ultimo è di circa 11 minuti più corto di 365 giorni e un quarto. Questa piccola differenza produce il divario di un giorno ogni 128 anni.
Da questa constatazione derivò la riforma attuata nel 1582 da papa Gregorio XIII (da qui il calendario gregoriano), che stabilì che dovessero essere comuni (anziché bisestili) quegli anni secolari che non fossero divisibili per 400. Quindi, in definitiva, rimangono bisestili tutti gli anni non terminanti con due zeri e divisibili per 4, e quegli anni terminanti con due zeri ma divisibili per 400.
Dalla data della riforma a oggi, dunque, fu bisestile l’anno 1600, non lo furono gli anni secolari 1700, 1800 e 1900, mentre lo è stato il 2000.
La differenza fra il calendario gregoriano e quello giuliano è che il primo conta solo 97 anni bisestili nel corso di 400 anni, anziché 100 anni bisestili, come invece fa il secondo.
Con quest’ultima riforma (che è quella attuale) si ottiene uno scostamento di soli 27 secondi ogni anni e comporta la differenza di tre giorni ogni 10000 anni.

A tale riguardo, Antonino Zichichi, nel suo saggio “L’irresistibile fascino del tempo”, cita una semplice regola per il calendario perfetto: i giorni dell’anno sono 365, più uno ogni quattro anni, meno tre ogni 400 anni, e meno tre ogni diecimila anni.
Zichichi sposa dunque l’idea (suggerita da John Herschel, 1792-1871) di non considerare bisestili (mentre, in base al calendario gregoriano, lo dovrebbero essere) gli anni 4000, 8000 e 12000. In questo modo, in verità, si toglierebbero solamente 2 giorni e mezzo ogni 10000 anni invece dei 3 giorni che sarebbero necessari.
Questa manciata di secondi, in realtà pone ancora dei dibattiti: su Wikipedia, alla voce Calendario gregoriano/Ulteriori miglioramenti, c’è la proposta di non considerare bisestili sia gli anni multipli di 4000 sia gli anni multipli di 10000. Così non sarebbero bisestili gli anni 4000, 8000, 10000, 12000, 16000, 20000 ecc., e si toglierebbero esattamente 3 giorni ogni 10.000 anni, ma ormai son quisquilie (come diceva il grande Totò).
Anche la lunghezza del giorno ormai viene corretta. Con gli orologi ultraprecisi di oggi, l’Istituto Galileo Ferraris e tutti i centri di misura del tempo campione mondiale, correggono saltuariamente l’ora di qualche decimo di secondo ogni anno per compensare l’inesorabile rallentamento della rotazione terrestre.

Conclusioni: Da calendario come strumento di riferimento mondiale dei giorni che verranno, si è, oggi, arrivati a vedere il calendario come riferimento dei giorni passati. Una specie di teca, capace di conservare le mode, i miti e le forme intatte dei nostri giorni per gli anni a venire. Per essere più chiari vi indico un sito che di calendari se ne intende…

P.S. Il calendario gregoriano fu accettato, anche se gradualmente, dalla maggior parte degli stati civili: per primo dagli stati con popolazione cattolica (fra il 1582 e il 1584), poi da quelli a popolazione protestante. In Germania entrò in vigore parzialmente nel 1700 e definitivamente nel 1775, in Gran Bretagna nel 1752, in Svezia nel 1753. In altri paesi, tra cui quelli a religione ortodossa, il calendario giuliano è rimasto in vigore fino ai primi decenni di questo secolo. Il governo rivoluzionario russo adottò il calendario gregoriano nel 1918. Il Giappone vi aveva già aderito nel 1873, la Cina nel 1812 (ma in modo completo nel 1949). Anche le chiese ortodosse (ad eccezione di quelle di Russia, di Serbia e di Gerusalemmme, che hanno mantenuto il calendario giuliano) hanno peraltro adottato un calendario riformato, in cui risultano bisestili, fra gli anni secolari, solo quelli il cui millesimo, diviso per 9, dia per resto 2 oppure 6. In pratica, diventa bisestile un anno secolare ogni 4 o 5. Le chiese ortodosse hanno però mantenuto, in generale, il vecchio metodo di calcolo del giorno di Pasqua. Fa eccezione la chiesa ortodossa di Finlandia, che ha aderito completamente al calendario gregoriano. Saluti

tratto da un lavoro di Eugenio Songia