La difficile storia dell’Alfa Romeo
25 Febbraio 2014La storia di questo marchio di fatto nasce con la Società Italiana Automobili Darracq che fu fondata a Roma nel 1906 per la produzione di auto economiche. In questo periodo storico fatto di fasi alterne di forte crescita e periodi di assestamento, la nuova azienda, si trovò subito in gravi di difficoltà.
Gli stabilimenti del Portello, già eretti a Milano, passarono dapprima in mano ad un gruppo di industriali (perlopiù appassionati automobilisti) col nome Alfa Anonima Lombarda Fabbrica Automobili, per passare poi nel 1915 dopo la messa in liquidazione, in mano all’Ing. Nicola Romeo e di conseguenza alla sua azienda
“Ing. Nicola Romeo e Co.” che fabbricava macchinari e materiali per l’industria mineraria.
In pieno periodo di guerra, l’intera industria si dedicò alla produzione bellica e soprattutto ad autocarri e motori su espressa richiesta dello Stato.
Finita la guerra nel 1918 il nome della società fu cambiato in “Società Anonima Ing. Nicola Romeo e Co.” inglobando altre aziende in forte crisi. Vennero così assorbite le Officine Meccaniche di Saronno, le Officine Meccaniche Tabanelli di Roma e le Officine Ferroviarie Meridionali di Napoli.
La nuova società aveva per oggetto “l‘impianto e l’esercizio di industrie meccaniche, siderurgiche, agricole, minerarie, chimiche ed estrattive in genere, più specialmente… per l’esercito, l’aviazione, la marina e l’agricoltura… motori a scoppio per qualsiasi applicazione; aerei, automobili, locomotive e altri rotabili in genere“.
Come già espresso nell’Atto Costitutivo, la produzione dell’azienda non era limitata alle sole automobili, ma copriva una vastissima area e l’ingegnere non aveva trascurato il fatto di circondarsi di validissimi tecnici come Giuseppe Merosi, Vittorio Jano e molti altri.
Giuseppe Merosi (nato a Piacenza nel 1872), era il capo progettista ed era la persona giusta per l’epoca, dai suoi progetti uscirono vetture importanti e piacevoli, destinate sia alla strada che alle competizioni. Realizzò la P1 (nel 1923), una biposto destinata alle corse e per debuttare nel Gran Premio di Monza, ma purtroppo dopo un incidente mortale durante le prove di Sivocci fermò sul nascere l’affermazione della vettura.
Furono invece più fortunate le automobili per uso privato quali la RL e la RM.
Vittorio Jano, invece era un torinese, che fu strappato dalla Fiat tramite una mediazione con Enzo Ferrari, arriva alla progettazione dell’Alfa Romeo nel 1923 e realizza subito la mitica P2, una vettura destinata alle corse che rimarrà imbattuta per sette anni, la 1750 che domina la Mille Miglia nel 1929 e nel 1930, la P3 che dal 1932 diventa la preferita dei più grandi piloti del momento (lasciò poi l’Alfa Romeo nel 1937).
Come tutte le aziende che si erano dedicate alla produzione bellica, anche l’Alfa Romeo si trovò ad affrontare non solo il problema della riconversione, ma anche i problemi legati alla recessione economica post bellica. Riuscì comunque a sanare i propri problemi con l’aiuto del “Consorzio Sovvenzioni sui Valori Industriali” abbandonando quasi del tutto la produzione aeronautica per specializzarsi alle sole autovetture, alcune delle quali ottennero storici successi sportivi.
Negli anni ’20 l’azienda fu coinvolta in una nuova crisi, legata stavolta alla Banca Italiana di Sconto che ne deteneva la maggioranza delle azioni, sull’orlo della liquidazione, si riuscì ad intessere relazioni commerciali con importanti commerci esteri tra qui gli USA, l’inghilterra e la Spagna impedendo la chiusura di una società ormai tanto famosa nel mondo ma promettendo una ristrutturazione globale.
L’allora presidente Nicola Romeo, non accettò però i drastici cambiamenti imposti e, nel1928, chiuse definitivamente i suoi rapporti con l’Alfa Romeo per contrasti ormai insanabili.
Nel 1933 egli passò alla gestione dell’IRI e venne iniziata una corposa ristrutturazione, anche con un nuovo Statuto societario ed il nuovo Direttore Generale Ing. Ugo Gobbato, atta a portare l’azienda a livelli competitivi paragonabili alle altre case automobilistiche del tempo.
Seguirono drastici cambiamenti e licenziamenti non avventati prediligendo buone gratificazioni economiche verso i lavoratori ben adeguate al lavoro svolto.
Nei periodi della seconda guerra mondiale Gobbato sceglie la linea di abbandonare momentaneamente l’auto per dedicarsi a motori aeronautici e ai mezzi militari. Resistette ai vertici dell’azienda anche sotto l’occupazione nazista, ma nel 28 aprile del 1945 resta ucciso in un misterioso attentato a soli pochi giorni dalla Liberazione.
La crisi economica conseguente portò anche all’eliminazione di molti dirigenti, ma non della manodopera (che veniva impiegata in altri impieghi secondo le particolari capacità tecniche) portò ad una ottimizzazione dei reparti ed alla istaurazione di un reparto speciale per lavori di assestamento e riparazione delle macchine interne di produzione
Con questi interventi le sorti dell’Alfa Romeo cominciarono a prendere una piega diversa danto da portare il numero di occupati al Portello fino a 6000 unità. Il capitale sociale venne aumentato e si iniziò la costruzione del nuovo stabilimento di Pomigliano d’Arco a Napoli
Il bilancio economico iniziò a crescere già durante il periodo bellico e già nel 1942 era aumentato del 14% rispetto all’anno precedente stesse previsioni erano previste per il futuro 1943 se non fosse per un pesante attacco aereo che distrusse lo stabilimento di Milano provocando la morte di moltioperai che vi lavoravano.
Fortunatamente anche il piano di decentramento era già in atto e il reparto motori che si trovava già a Marigliano si salvò, ma gli altri reparti e uffici che non erano ancora stati trasferiti non ci fu nulla da fare.
Tra i molti disagi rimase comunque una volontà assoluta di continuare nonostante le distruzioni. l’azienda doveva andare avanti comunque anche se ormai il giogo tedesco controllava anche le decisioni dirigenziali. Nel 1944 l’Alfa Romeo, su pressioni delle autorità tedesche, dovette unirsi in Consorzio con l’Isotta Fraschini e con le Officine Reggiane formando la società CARIM per la costruzione di parti del motore Junkers. Fu un vero e proprio decentramento strutturale e tutti i macchinari erano stati trasferiti per sicurezza e segretezza nelle grotte di Costozza (col nome di Officine C.)
Il consorzio, nato ormai a fine guerra, fu presto abbandonato dal dominio tedesco che ormai ritirava verso nord e dopo l’omicidio di Gobbato, le sorti dell’Alfa Romeo furono affidate all’ing. Pasquale Gallo che, entrato dapprima come commissario straordinario, ne divenne presidente, col compito di smilitarizzare gli stabilimenti per riconvertirli di nuovo verso la produzione di automobili e mezzi destinati al mercato civile.
Già nel 1946 tramite il Consiglio d’Amministrazione, Gallo informa che la vendita dei veicoli industriali era rimasta sostanzialmente invariata, ma vi era una richiesta di mercato ancora troppo discontinua e la concorrenza americana era particolarmente agguerrita per poter portare l’Alfa Romeo ad un tangibile miglioramento economico. L’azienda si trovava anche di fronte anche al problema di dover ricostruire ciò che era andato distrutto negli anni precedenti.
Per attuare il risanamento si pensò allora di scorporare lo stabilimento di Pomigliano (che al momento rappresentava una fonte di perdite), ma alcuni consiglieri si opposero spingendo affinchè si convincesse l’IRI a trovare una soluzione diversa al problema.
Questo stabilimento risultava comunque strategico ed importante per la produzione di leghe leggere (omologate dall’Aeronautica Militare) e non poteva essere accettato un totale distaccamento da Milano, quindi si chiedeva che ne venisse completata la costruzione (interrotta con l’inizio della guerra).
L’azienda dimostrava ancora una grande volontà di riprendersi e di partecipare attivamente alla ricostruzione, per questo non lasciò nulla di intentato, la sua produzione si orientò in vari campi produttivi tra cui cucine elettriche, saracinesche, infissi ed altro, nel frattempo, gli operai si prodigavano anche a
– ricostruire gli stabilimenti distrutti del Portello
– a riportare gli impianti decentrati alla base
– a riparare gli impianti danneggiati,
l’impegno pressante era di riportare l’Alfa Romeo allo splendore prebellico.
Nel 1948 l’azienda passa sotto la direzione della Finmeccanica e da quel momento la produzione cambiò radicalmente. Non più autocarri e motori marini sulle linee di produzione, ma solo produzione di serie di auto che ben presto portò ad un buon riscontro di mercato riportando l’Alfa Romeo a livelli precedenti il secondo conflitto mondiale.
Arrivano gli anni ’50, ai vertici dell’azienda arriva Giuseppe Luraghi, (già direttore generale della Finmeccanica) egli aveva capito che la motorizzazione ormai stava diventando un fenomeno di massa e anche la produzione doveva adeguarsi con vetture medie e facilmente commerciabili.
L’Alfa Romeo venne così a trovarsi in una situazione particolarmente favorevole, ormai il solo Portello risultava insufficiente a sostenere i nuovi carichi di lavoro (si passò dalle 6104 unità del 1955 alle 57870 del 1960) e nel 1960 venne iniziata la costruzione di nuovi stabilimenti ad Arese, che entrarono in funzione nel 1963.
Sempre negli stessi anni si decise la creazione di un nuovo stabilimento a Pomigliano da affiancare a quello esistente destinato a produrre vetture di fascia bassa, la responsabilità di costruzione e gestione fu affidata all’Ing. Rodolfo Hruska. Fu denominato Alfasud e le ragioni che dettarono questa scelta furono sostanzialmente diverse:
– la forte immigrazione che dal sud si spostava verso il nord avrebbe ben presto creato notevoli problemi di sovraffollamento, per cui non era proponibile la costruzione di un nuovo stabilimento al nord.
– in quegli anni, fu varata la cassa del mezzogiorno, una legge che favoriva l’industrializzazione al sud e che permetteva facilitazioni fiscali e finanziarie.
– l’Alfa Romeo aveva avuto già un’esperienza positiva negli anni ’40 impiantando uno stabilimento a Pomigliano.
Purtroppo però, l’alfasud si trovò subito in serie difficoltà finanziarie e sociali; da una parte la crisi operaia degli anni ’70 e dall’altra la scarsa efficienza produttiva che non riusciva a rispondere alle richieste del mercato.
Il problema maggiore fu dato dal fatto che l’Alfasud non fu una vera azienda del meridione, ma del nord; gli uffici dirigenziali rimasero a nord e furono trasferiti a Napoli solo qualche anno dopo l’apertura dello stabilimento, fino ad allora avevano operato in un ambiente sociale ed economico totalmente differente da quello vissuto negli stabilimenti.
Nel 1972 Luraghi lascia l’Alfa Romeo e l’azienda si trova di nuovo ad affrontare un lungo periodo di transizione, coincidente con pesantissime rivendicazioni sindacali e operaie che caratterizzarono quasi tutti gli anni ’70.
Nel 1978 entra Ettore Masaccesi il quale attua una nuova ristrutturazione, la seconda grande ristrutturazione dopo quella realizzata di Ugo Gobbato negli anni ’30, per meglio inserirla nelle nuove congiunture economiche e di mercato.
La ristrutturazione prevede il risanamento finanziario e il rifacimento degli obiettivi che dovevano essere più rispondenti alla attuale realtà; una organizzazione non più orientata verso la tecnica, ma verso il mercato.
L’azienda, nonostante il continuo lancio di nuovi modelli con buoni riscontri commerciali, ha però ancora i conti in rosso. La situazione è dovuta principalmente agli alti costi di produzione impostati ancora come all’inizio del decennio. Con l’obiettivo di ridurre queste perdite, il presidente dell’IRI Romano Prodi, decise di vendere la casa automobilistica ad un gruppo privato.
Dopo un’accesa battaglia con la Ford, nel 1986, non senza polemiche, il gruppo Fiat acquisì l’Alfa Romeo (grazie anche all’intercessione dello stesso Prodi che impedì, di fatto l’acquisto da parte del gruppo statunitense).
Dopo l’acquisizione, la Fiat decise di accorpare l’Alfa Romeo alla Lancia, dando vita alla Alfa-Lancia Industriale, alla cui presidenza fu posto Vittorio Ghidella.
La a nuova proprietà decise di ottimizzare la gamma delle vetture con l’uscita di scena dell’Arna e della 90 e con l’aggiornamento degli altri modelli rimasti ancora in listino.
Nel 1987 venne introdotta la 164, una ammiraglia che impiegava lo stesso telaio utilizzato sulle Fiat Croma, sulla Lancia Thema e sulla SAAB 9000. Ciò fu possibile grazie ad un accordo che l’Alfa Romeo fece con i due gruppi automobilistici concorrenti prima dell’acquisto da parte della Fiat, il cui scopo era quello di contenere i costi di progettazione e di sviluppo dei modelli.
La 164 presentava però un disegno stilistico molto ben studiato e particolare (opera di Pininfarina) e rappresentò una pietra miliare nella storia della casa
Il secondo modello interamente progettato e sviluppato dalla nuova proprietà fu la 155, che venne introdotta nel 1992 ed assemblata nello stabilimento di Pomigliano d’Arco. Anch’essa per contenere i costi era basata su un pianale utilizzato da molte altre vetture del gruppo come la Tipo, la Tempra e la Lancia Dedra.
Aveva una linea piuttosto discutibile, il motore di derivazione Fiat, gli schemi molto più semplificati sulle sospensioni e la trazione anteriore (fu la prima volta che si optò per l’abbandono della trazione posteriore) per questo non venne accolta con entusiasmo dagli alfisti nonostante alcune soluzioni meccaniche piuttosto raffinate.
Furono lanciati altri modelli tra quali la 145 e la 146 quindi la GTV e la Spider, ma l’anno della svolta per l’Alfa Romeo fu nel 1997 grazie all’introduzione della 156. Essa sostituì la meno fortunata 155 e segnò, con la sua linea, una vera e propria rottura con tutte le vetture del passato.
La 156 ebbe subito un successo clamoroso ed inaspettato tanto da vincere il prestigioso premio di auto dell’anno nel 1998: Grazie alla sua meccanica sofisticata e raffinatane furono introdotte altre versioni (Familiare e Sportwagon)
Il nuovo millennio iniziò sotto ottime promesse commerciali. Venne introdotta la compatta 147, che ottenne un grande successodi pubblico e molti premi tra cui Volante d’Oro (nel 2000) ed il titolo di auto dell’anno (nel 2001). Nel 2003, con la presentazione del modello GT, vinse il premio di Automobile più bella del Mondo.
Nel 2005 esce la 159 disegnata da Giugiaro, era sostanzialmente un’evoluzione della 156 che rimpiazzò nonostante fosse dotata di dimensioni e di peso maggiori.
Anche qui i risparmi si ottennero da una collaborazione con il gruppo General Motors; il pianale era frutto di una cooperazione con il marchio Opel (che però non ebbe poi seguito).
Seguì un nuovo debutto con la nuova coupé sportiva Brera (sempre di Giorgetto Giugiaro) che prese il posto della GTV.
Seguono altri modelli e, nel giugno 2008, è avvenne il lancio commerciale della compatta MiTo (dove “Mi” stava per Milano dove nacque l’Alfa Romeo, e “To” per Torino, dove viene costruita), che è stata concepita per incrementare le vendite estendendo la gamma Alfa verso il basso.
E’ posizionata al di sotto della 147 e grazie alla sua linea sportiva e dinamica è stata pensata per attrarre il pubblico tendenzialmente giovanile
Nulla di nuovo all’interno, la MiTo è basata su meccanica della Fiat Grande Punto ed è stata la prima Alfa Romeo ad essere assemblata nello stabilimento Fiat di Mirafiori.
In occasione del centenario della fondazione (2010), l’Alfa Romeo ha presentato la Giulietta, il modello che ha sostituito la 147.
La vettura è basata sul nuovo pianale FGA Compact e presenta delle caratteristiche meccaniche molto ricercate (come il cambio a doppia frizione), sistema start e stop e controllo elettronico della stabilità e del differenziale.
Ora, utilizzando questo sito, sarà possibile andarsi a vedere o acquistare molti modelli Alfa ancora in commercio.
La grande quantità di modelli non ci ha permesso di mostrarli tutti nel poco spazio disponibile, per vedere gli ultimi modelli riferirsi al sito del produttore.
Saluti